È un’annata di luci e ombre per le mele in Toscana, il frutto più consumato sulle tavole italiane. Dopo la perdita di oltre un milione di piante nell’ultimo decennio, la melicoltura regionale mostra un leggero recupero. La produzione 2025 si aggirerà tra i 160 e i 170 mila quintali, in linea con le ultime due stagioni e lontana dai livelli critici delle annate siccitose del 2021 e 2023.
A incidere sul raccolto è stato lo stress idrico causato dalle temperature elevate di fine giugno e inizio luglio, che hanno compromesso la pezzatura delle mele. Lo conferma Letizia Cesani, presidente di Coldiretti Toscana: “L’andamento climatico è sempre più decisivo per i raccolti e condiziona non solo la qualità dei frutti ma anche la diffusione di parassiti e malattie”.
La Valdichiana, considerata la “Fruit Valley” della regione, concentra oltre metà della superficie coltivata a mele, circa 400 ettari, sostenuti dall’acqua della diga di Montedoglio. Qui, nonostante i frutti più piccoli, la qualità si presenta buona e le piante sane.
Negli ultimi anni, giovani imprenditori e donne hanno investito in nuovi impianti con reti anti-grandine e sistemi di irrigazione di soccorso, oltre a puntare sulla trasformazione con succhi e sidri destinati alla vendita diretta nei mercati contadini di Campagna Amica.
La mela resta il frutto “polposo” più diffuso in Toscana con 700 ettari, seguita da susine, pesche, pere e albicocche. Accanto alle varietà più commerciali come golden, fuji, gala e stayman, stanno tornando in auge antiche cultivar autoctone come la mela roggiola della Valdichiana, la rotella della Lunigiana e la muso di Bue di Zeri.
“Le logiche dell’omologazione e del profitto stanno mettendo a rischio la biodiversità agricola – conclude Letizia Cesani –. Per questo la rete di Campagna Amica vuole riportare sulle tavole varietà autentiche che raccontano la storia e l’identità del nostro territorio”.