Il recente riconoscimento della cucina italiana come patrimonio immateriale dell’UNESCO apre un nuovo capitolo nel dibattito enogastronomico nazionale. Una decisione che — come ha spiegato l’UNESCO — rappresenta una “miscela culturale e sociale di tradizioni culinarie”, un “modo per prendersi cura di se stessi e degli altri, esprimere amore e riscoprire le proprie radici culturali” (ndr – ANSA).

Sul territorio nazionale le reazioni sono state molteplici e spesso piene di orgoglio. Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, ha dichiarato: “La Cucina Italiana è Patrimonio dell’Umanità. Oggi l’Italia ha vinto ed è una festa che appartiene a tutti perché parla delle nostre radici, della nostra creatività e della nostra capacità di trasformare la tradizione in valore universale” (ndr – ANSA).

Dal mondo della cultura gastronomica, lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari — fra i curatori del dossier di candidatura — ha ricordato che questo riconoscimento non riguarda un singolo piatto ma un “organismo vivente”, ossia un insieme di usi, pratiche e tradizioni diffuse su tutto il territorio (ndr – La Repubblica).

Molti commentatori hanno sottolineato quanto questo riconoscimento valorizzi la diversità delle tradizioni regionali e familiari. Come osservato da un articolo su la Repubblica: non si tratta di “un piatto, non di un disciplinare di un prodotto, ma di un modo di stare a tavola, di cucinare, di riconoscersi, di pensare al cibo” (ndr – La Repubblica).

In definitiva, il riconoscimento UNESCO rappresenta un’opportunità concreta per rafforzare la relazione tra cibo, territorio e tradizione culinaria, ribadendo che la vera ricchezza sta nelle comunità che ogni giorno continuano a vivere e reinventare la “cucina degli affetti” (ndr – ANSA / La Repubblica).

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