Ora 8.30 della mattina, una calda giornata di Giugno, partenza per il mare. E fin qui non ci sarebbe niente di strano, se non fosse che al mare con i piedi a mollo non ci arriveremo mai. Però lo vedremo il mare, da una bellissima prospettiva, dal meraviglioso panorama di Montignoso, incastonato fra le Alpi Apuane e la Versilia. Lo vedremo dalla migliore delle prospettive possibili, ossia con un bicchiere in mano.

In realtà non sono un grande amante del mare, preferisco viaggiare… e farlo in compagnia di un amico andando a degustare un ottimo vino lo rende speciale. Ciò non toglie che ad un certo punto il desiderio di una bella nuotata ci prenderà, non lo nego. L’alcool ci scalda, la vista del Tirreno ci attira inesorabilmente…

Fortunatamente le brezze delle Alpi ci aiutano a respirare, così come durante le caldi estati danno sollievo alle vigne. Quelle marine invernali, al contrario, mitigheranno gli inverni. Posto speciale qui, a Montignoso. Sarebbe bello perdersi per ore, a fantasticare, con pensieri e sogni che volano ovunque, dal calice in su, accompagnati da Zefiro….

Comunque, smarcato il motivo del viaggio – che non era quello di farsi un tuffo nel mare e nemmeno una fuga da famiglia e pensieri – rimane il vino, ovviamente. E vabbè, fosse per quello, non ci sarebbe stato bisogno di finire quaggiù, a due ore di macchina da casa.

In realtà, qui, ad attirarmi clamorosamente non è il vino, ma UN VINO in particolare, prodotto da vitigno autoctono toscano quasi abbandonato ed ora riscoperto (e fortunatamente!): la Barsaglina.

Attenzione però a non far gaffe! Da queste parti si dice Massaretta, siamo in provincia di Massa!! D’altronde, un po’ di campanilismo non vogliamo concederlo? Sia mai.

La Toscana, terra di vino, di polemiche e di campanilismo! Mi piace pensare che tragga origine proprio da quest’ultimo, la confusione che si è venuta a creare fra Barsaglina e Massaretta: che sono, in definitiva, lo stesso vitigno. Chiaramente, nel resto della Toscana è noto con il nome di Barsaglina; a Massa (altrettanto ovviamente) viene chiamata Massaretta. Conosciuto con quest’ultimo nome pure nella vicina Liguria (terra di confine questa…), a rimarcarne LORO la provenienza ed il legame con Massa! Incredibile, no?

Chissà se per vanto (dei Massesi) o se per scarto (dei Liguri), poiché allora la Massaretta aveva una pessima nomea di “vin puzzone”. Ed è in questo contesto che colloco il campanilismo. Campanilismo al contrario! “Vin puzzone? Allora è tuo, mica mio! Che diamine!” Non so, mi piace pensarla così, vecchi screzi fra vicini mai stati in fondo davvero vicini. E noi toscani di queste diatribe ne siam maestri.

Vin puzzone dunque veniva chiamato, questo povero vitigno, che in realtà pare perfino parente stretto del nostro Sangiovese, che tanto ci rende fieri! Campanilisti che non siamo altro! Vin puzzone suo malgrado, per colpa di chi nel secolo scorso lo vinificava (male) senza comprenderne la natura e le sue caratteristiche. Vitigno coltivato da secoli in questa parte della Toscana, con una tradizione enologica che si confonde con il mito.

Il mito narra che i vitigni del Candia giungano sulle barche dei coloni Greci direttamente dall’omonimo comune sull’Isola di Creta! Oh, mica una città qualsiasi! Candia, l’antica Heraclion, capitale dell’Isola di Creta, sede del Palazzo di Cnosso, fra i miti e le leggende di Teseo e del Minotauro… sarà il filo di Arianna che lega tutto?

Come sono affascinanti i miti… ci raccontano e ci spiegano la storia del mondo in un modo talmente meraviglioso che mi incanta ogni volta. Ovviamente, parlando con gli anziani del luogo, le leggende vengono sempre difese come verità assolute ed anzi! Riportano a nuove storie, nuove teorie a conferma del mito originario!

Ed ecco quindi un nuovo racconto, tramandato da queste parti: sul Monte Libero (da Liber Pater, dio pagano protettore della vite e del vino, adorato in quel luogo – ancora storie, ancora miti…) nel cuore del Candia, si dice che sorgesse appunto un antico tempio dedicato ad Ercole, riportato perfino nella Tabula Peutingeriana!

I vecchi del luogo giurano che il posto dove sorgeva il tempio di Ercole è quello stesso dove oggi sorge la Chiesa di San Lorenzo e che la notte di San Lorenzo la terra prenda la forza da Ercole e tiri a sé le stelle! Quanto sono belli i miti… collegano tutto. E tutto poi viene ricondotto a nuovi eventi, perfino un Ercole ebbro riprodotto in un frammento di un’anfora vinaria… ma non era Bacco? O forse Liber Pater…

Ma sto divagando, come sempre. Sarà il vino, sarà questo splendido panorama, sarà il mare. Secoli di storia comunque, secoli di esperienze per giungere nel ‘900 a produrre un “vin puzzone”? Sarà mai che i nostri avi si fossero bevuti anche il cervello? Oddio, quello forse.

Ma la storia in genere insegna che i nostri vecchi non sbagliavano mai e che le tradizioni, quelle belle, avessero sempre un fondamento. Quindi, in definitiva, perché produrre un “vin puzzone”? Sarà forse che avessero dimenticato come fare, o più semplicemente, come spesso accadeva dalla metà del secolo scorso, i nostri contadini, inseguendo più facili guadagni, si dedicavano più alla quantità che all’attenzione verso la qualità?

Anche questa è una domanda retorica, a cui troppo spesso vien facile la risposta. Ed infatti il nostro Barsaglina, quando non viene trattato con la cura che merita, tira fuori odori fastidiosi. Ma la colpa non è mai del frutto, la colpa è della fretta! La Massaretta odia la fretta! Ecco, ho fatto la rima perfetta. E due.

Comunque, sia come sia, casualità, volontà o forse c’ha messo lo zampino Ercole stesso, che ha ridato all’uomo la forza di tornare a lavorare come Giove comanda… ad oggi sono molti i produttori che hanno riscoperto questo meraviglioso vitigno, lo hanno salvato dall’abbandono e da un sicuro oblio, condannato da una nomea ingenerosa e ne hanno tratto un vino splendido, spesso prodotto in purezza, che riesce a regalare emozioni.

Altro che “vin puzzone”!!!

Per provarlo nuovamente a noi stessi, quindi, siamo venuti qui a Montignoso, a due passi dal mare, a due passi anche dalle montagne. Un luogo perfetto. Perché il vino va bevuto dove nasce, perché il vino è emotività e niente regala più emozioni di bere un vino nei luoghi dove ha preso vita.

Un giorno, uno scrittore (ben più bravo di me) scrisse questa frase che mi porterò sempre dietro: “… E il vino? Cosa c’entra il vino? Oh, se c’entra! Il vino è come la poesia, che si gusta meglio, e che si capisce davvero, soltanto quando si studia la vita, le altre opere, il carattere del poeta, quando si entra in confidenza con l’ambiente dove è nato, con la sua educazione, con il suo mondo. La nobiltà del vino è proprio questa: che non è mai un oggetto staccato e astratto, che possa essere giudicato bevendo un bicchiere, o due, o tre, di una bottiglia che viene da un luogo dove non siamo mai stati!…”

A Montignoso, dicevo, dove è di casa Montepepe, splendida azienda agricola, relais, spa… quello che volete! Ma soprattutto capaci di fare un gran vino. Dopotutto, scrivo per questo, no? Incontriamo quindi Alberto, proprietario e gentilissimo anfitrione, che ci accoglie subito con una tale cortesia che a volte dimentichiamo quanto sia importante, quanto scaldi, quanto disponga subito gli animi verso un atteggiamento di bellezza.

Alberto, architetto, ma anche amante di storia, di geologia… ci illustra immediatamente le particolarità dei luoghi, facendoci notare come prima cosa lo scheletro del terreno dal quale trae forza e nutrimento la sua vigna, rocce cangianti di una bellezza incredibile, pietre metamorfiche…. per poi subito arrampicarsi su, verso il vigneto, i suoi bellissimi terrazzamenti, raccontandoci questa meravigliosa storia che è stata la riscoperta di questo posto.

Alberto Poggi

Origina dai Borboni, all’inizio dell’800. Fu tale Alexander Degeres (che ora regala il nome ad uno dei loro vini di punta) l’enologo bordolese che progettò questo vigneto, questi terrazzamenti a rampa, perfino questi meravigliosi canali di scolo lastricati da pietre che ancora servono egregiamente e impediscono smottamenti che altrove purtroppo son frequenti. Beh, le cose che si facevano un tempo erano incredibilmente più efficienti…

Si respira immediatamente la sua passione verso il suo lavoro, ma forse ancora di più verso la storia, l’orgoglio di averla recuperata ed adesso farne parte. I discorsi volano via veloci, fra un Massaretta salvato, un Viogner ed un Syrah che ben si adattano a questi terreni, fra un Borbone ed una quercia antica (“guai a toccarla, a costo di far ombra ad alcune viti, non si deve disturbare l’equilibrio dei luoghi!” – così ci dice e sono pienamente d’accordo), fra vecchi miti e nuove leggende…

Ci parla infatti anche di una leggenda che lega l’antico insediamento di Luni, il pirata vichingo Hasting, un grave errore di valutazione e l’antica Roma… ma queste sono altre storie…Lui parla, con gli occhi che brillano, perché adora raccontare (e si vede!) e noi lo lasciamo fare ben volentieri perché è un piacere raro.

Quello che emerge, ed emerge molte volte nel corso di questa piacevole chiacchierata, è la ferma e forte volontà di rispetto e recupero dei luoghi, delle tradizioni, della storia, ancora una volta… Ed ovviamente va da sé che la scelta della Massaretta diventa quasi obbligata, per persone che ragionano in questi termini. Purtroppo il tempo scorre (in questi momenti sembra quasi di essere bloccati nel tempo e nello spazio), non ci stancheremmo di continuare ad ascoltare, però passiamo a degustare.

E, come dire, non è neanche questo gran sacrificio, dobbiamo dirlo! Ci accomodiamo sul patio esterno, vista mare, bicchiere in mano ed iniziamo a fantasticare sui vini di Montepepe. Alberto ce li illustra con grande orgoglio, sicuro di sé, sa che su questa collina non puoi sbagliare. C’è tutto per poter fare prodotti eccellenti con una spiccata personalità. E loro lo fanno. Alla fine saranno 4 i bianchi che assaggeremo, 2 invece i rossi: Alberico, Montepepe bianco, Degeres, Grand Vintage fra i bianchi, Pepo e Montepepe rosso, appunto, fra i rossi. Eravamo partiti con l’idea di parlare della Barsaglina, siamo finiti ad assaggiare tutto, perché ne valeva davvero la pena… e mi ritrovo a riflettere, sperando che Ercole ci dia la forza per tornare a casa …

LE DEGUSTAZIONI

  • Alberico 2020: Vermentino 100% il primo della gamma di bianchi, unica DOC della loro produzione. Un vino immediato che stupisce subito per la sua mineralità e sapidità (il mare…), fresco vivo in bocca, verticale come Alberto pretende, come queste montagne che verticalmente scendono al mare suggeriscono.
  • Montepepe bianco 2019: due terzi Vermentino, un terzo Viogner. Eccolo il “vino della casa”! Qui si inizia a giocare sugli aromi, sulle complessità, pur rimanendo un vino da bere senza troppi compromessi. Frutti tropicali, accenno di pietra focaia. In bocca torna forte la sapidità di cui ho parlato prima, un vino che è vera espressione di questo territorio, anzi, di questa collina chiamata Montepepe. Da bere subito dicevo, ma anche da aspettare, c’è da scommetterci.
  • Degeres 2017: Vermentino 50%, Viogners 50%. Un bianco che è quasi un rosso, l’uso del tonneaux si sente, ma non è mai invadente, né determinante. Al naso molto complesso, si apre con note accentuate di miele, idrocarburi, pietra bagnata. Rotondo, ma al tempo stesso verticale, con una spiccata acidità; lasciandolo aprire tira fuori sentori di affumicato che portano lontano con i pensieri. Vino, questo sì ,da aspettare (e anche a lungo), un vino davvero a tutto pasto.
  • Grand Vintage 2010: due terzi Vermentino, un terzo Viogner. Il fratello maggiore del Montepepe bianco, appena versato mi scappa di dire “sembra un Rieasling!” Alberto sorride e conferma, spesso gli viene fatto notare, mi dice. Un naso via via sempre più complesso, molto elegante, sontuoso. In bocca non tradisce la sua età perché rimane fresco e al tempo stesso molto equilibrato. Chissà quanti anni può ancora avere davanti. Piccolissima produzione per un grande vino. Da meditazione.
  • Pepo 2019: eccolo il nostro Massaretta! Massaretta 100%!! Ci siamo arrivati finalmente (non che abbiamo sofferto nel frattempo…). Rosso porpora intenso, tradisce ancora una gioventù evidente, al naso fruttato (piccoli frutti rossi) e speziato come mi immaginavo, in bocca leggermente sapido. Un bel tannino delicato ma al tempo stesso deciso accompagna una freschezza che regala un bel sorso. La gioventù porta ancora con sé un lieve squilibrio perché le varie componenti del vino dovranno ancora trovare la loro giusta integrazione, ma già molto piacevole.
  • Montepepe rosso 2017: terminiamo il nostro viaggio così, con questo bel blend due terzi di Syrah e un terzo di Massaretta. Il Syrah fa subito capolino al naso rendendosi ben riconoscibile, ma la Massaretta fa il suo lavoro smorzando alcune note tipiche. Ovviamente le spezie, le erbe. Il legno si percepisce lievemente, senza caratterizzarne gli aromi. In bocca è piacevole, equilibrato, morbido. Un finale come si deve e come la giornata meritava.