Se fosse un tessuto sarebbe un Harris Tweed delle Isole Ebridi color avena. Anzi! Sarebbe un abito tre pezzi realizzato con questo tessuto/in Harris Tweed delle Ebridi, perché la bella stoffa ha bisogno di un bravo sarto che la esalti tagliandola per il verso giusto e che poi la cucia con cura e pazienza per dare vita ad un capo senza tempo.

Lo stesso accade per il Vin Santo di Vigoleno. La stoffa dal quale viene prodotto sono due vitigni autoctoni dei Colli Piacentini che in questo ambiente si esprimono al meglio, le uve Santa Maria e Melara, i Sarti sono i produttori, otto in tutto.

Questa piccola DOC, una delle più piccole d’Italia, ha la sua casa in uno splendido borgo nel Comune di Vernasca che sorge su una dorsale calcarea di origine pliocenica, che separa due corsi d’acqua che scorrono ai suoi piedi e che definiscono la geografia della zona, lo Stirone nella terra parmense e l’Ongina nel piacentino. Da un punto di vista geologico siamo in un’area molto particolare: qui durante il pliocene c’era un mare tropicale caldo, che ci ha lasciato un suolo ricco di arenarie e calcareniti con livelli altissimi di fossili, e tra le scoperte di maggiore interesse scientifico si annota, a nord est di Vigoleno, una “scogliera corallina fossile”. Adesso abbiamo vigne e boschi di querce.

Parte del particolare profumo del Vin Santo è dovuta proprio alle caratteristiche del suolo e all’esposizione delle vigne. Per fare il vin santo i migliori grappoli di Melara e Santa Maria, con acini intatti, (che devono essere presenti per il 60% – 40% trebbiano romagnolo, bervedino e ortrugo) si vendemmiano per prime, quando il caldo agosto comincia a lasciare spazio ai colori di settembre. La raccolta avviene rigorosamente a mano, come da disciplinare. E’ tradizione che vengano lasciate delle foglie fra i grappoli deposti in cassetta per evitare che le uve si rovinino strofinandosi fra di loro.

Subito dopo la raccolta, le uve di Santa Maria e Melara vengono stese sui graticci, monitorate costantemente. Nicola della Cantina Visconti ci ha spiegato in occasione di Vinoleno 2022 che ogni cantina ha un suo locale dedicato a questo scopo, ogni cantina ha il suo profumo e i suoi graticci.Le uve rimangono in appassimento per circa quattro mesi, fino alla settimana Santa che precede il Natale, tempo di torchiatura o meglio le torchiature, dato il vin santo di Vigoleno può fare fino a quattro torchiature. Generalmente ne vengono fatte solo tre, ma in alcune annate particolari è possibile che ne venga effettuata una quarta e poi si passa all’affinamento.

Non è possibile trovare Vin Santi così denominati se non sono passati almeno cinque anni dalla rispettiva vendemmia. Lo impone il disciplinare. Per cinque lunghi anni il vino rimane in antichi caratelli scolmi di rovere, noce o castagno, dove avviene la magia. Alcuni produttori scelgono di utilizzare uno stesso contenitore effettuando travasi periodici, altri utilizzano contenitori di legno diversi e misure diverse, altri ancora utilizzano misure diverse ma lo stesso legno. (Questo genere di affinamento ci ricorda quello di un altro prodotto d’eccellenza del territorio: l’aceto balsamico.)

Tante sono le trasformazioni che avvengono durante questo lasso di tempo, che non prevede in maniera alcuna l’intervento dell’uomo: persino lo sbalzo imprevedibile delle temperature stagionali concorrono alla strutturata complessità del prodotto finito. Passati i 5 anni ogni produttore decide se l’annata è pronta. In caso contrario, attenderà ancora qualche anno.

Sono tutte queste piccole differenze che concorrono a creare quell’alchimia unica che troviamo dentro una bottiglia di Vin Santo di Vigoleno: tutti partono dalla stessa stoffa ma ogni produttore utilizza la propria visione, il proprio stile nell’interpretare la tradizione.

Occasione per poter finalmente assaggiare questo prodotto è stata Vinoleno 2022, manifestazione organizzata dall’Associazione dei Produttori del Vin Santo di Vigoleno nella splendida e suggestiva cornice che è il Castello di Vigoleno (scelto anche per girare alcune scene di Lady Hawk)  e che permette agli appassionati di assaggiare non solo questo vino estremamente raro ma anche di provare altri vini dolci della zona.

Avevo alte aspettative che temevo potessero essere deluse, quando desidero molto qualcosa ho sempre paura di quello che io chiamo l’effetto “Berma”, stavolta le mie aspettative sono state di gran lunga superate.

Ogni dubbio viene spazzato via durante la verticale organizzata dalla Cantina Visconti guidata da Laura Sandoli, Sommelier della Delegazione Fisar dei Colli Piacentini/Piacenza: tre annate, 2008-2011-2014, ognuna con un colore, una gamma olfattiva e gustativa diverse. Un filo rosso unisce le annate ma ognuna di loro esprime la sua essenza con caratteristiche divere ed è qui che si esprime al meglio l’alchimia che si crea fra uomo, territorio e vino: fattori ambientali, pedo-climatici, annata, geologia e lavoro dell’uomo, storia e tradizioni contribuiscono ognuno a caratterizzare il prodotto, ognuno di loro contribuisce a smussare, levigare, dare forma al prodotto finale.

E’ ambrato intenso, viscoso con un profilo olfattivo di straordinaria complessità: ha note balsamiche, liquore al caffè, tamarindo, dattero secco, nocino, cioccolato bianco, note cerose, frutta secca e sentori di sottobosco, cacao, spezie. Una vera e propria carovana di note. Il sapore è dolcissimo ma composto, elegantissimo, ben bilanciato dallo straordinario nerbo acido con una persistenza tendente all’infinito.

Durante la degustazione sono stati provati tre abbinamenti: cioccolato, biscotteria secca, formaggio caprino e grana 36 mesi.

Gli ultimi due abbinamenti rendono il vino ancora più sorprendente e ci fanno capire principalmente cosa che il vin santo di Vigoleno non è un solo un vino da dolce, un abbinamento di questo tipo pur se perfetto un po’ lo banalizza, non è assimilabile ad un vin santo toscano: il gusto, la consistenza e il profilo olfattivo sono diversi, non è un “semplice” vino dolce, è invece un puzzle di sapori e aromi che si compone piano piano. Non è una coda di pavone ma un mosaico, ogni tessera crea l’insieme.

Penso a Lusignani, di cui ho bevuto un sontuoso 2008 morbido e avvolgente (se fosse uno stile sartoriale sarebbe inglese), alla signora Maria Granelli di Eredi Corsini con una 2018 che rispecchia in pieno la geologia dei luoghi sapida, elegante, (se fosse uno stile sartoriale sarebbe milanese).

Una menzione va al vino che ha aperto la degustazione: un vino a base Santa Maria del 2021 vinificato con metodo ancestrale (la famiglia Visconti vinifica con questo metodo fin dagli anni ’60) e portato per far capire le potenzialità della Santa Maria fin da giovane e dalla sua diversità di espressione. Questo vino è assolutamente perfetto per una merenda o un aperitivo, darà poi longevità e acidità al suo Vin Santo.

L’Associazione Produttori del Vin Santo di Vigoleno ha attivato in via libertà 1 a Vigoleno una enoteca dedicata ai prodotti delle cantine associate con particolare riguardo verso il Vin Santo, consiglio a tutti coloro che sono incuriositi da questo prodotto di visitarla e di scambiare quattro chiacchere con il produttore che sarà di turno al bancone. Parlare con il produttori è sempre il modo migliore per portare con noi un pezzetto di territorio.

Massimiliano Ferrari definì questo vino un “ossimoro enologico”. Ed è la definizione più azzeccata. E’ elegante, raffinato, discreto, profondamente radicato al suo territorio così vivo da raccontarti le storie della sua terra e della terra.