L’Altra Toscana ha segnato il punto di arrivo delle Anteprime Toscane 2024 con una giornata dedicata alle degustazioni di diciotto denominazioni. Durante la manifestazione siamo riusciti a intervistare Francesco Mazzei, presidente dell’Associazione, del Consorzio di Tutela dei Vini della Maremma Toscana e di Avito (Associazione Vini Toscana DOP e IGP), nonché amministratore delegato dell’azienda di famiglia Mazzei 1435.

Ho letto di una laurea in scienze politiche nel 1987 dal titolo La valutazione dell’impatto ambientale: verso una politica dell’ambiente più efficiente. Lei ricopre numerosi incarichi manageriali nel settore del vino; venendo da una famiglia con una storia ed una tradizione importante che si riflette in una grande azienda vitivinicola, ci racconta questa sua scelta di studi.

In realtà ho un percorso un po’ controverso perché una volta preso il diploma al liceo classico non è che avessi tutta questa voglia di studiare, pensavo di fare un po’ i miei comodi e invece i miei mi hanno spedito a lavorare a Caserta, dove sono rimasto per un anno. È stata un’esperienza straordinaria nel tabacco e lì ho maturato invece la decisione di riprendere a studiare, nel frattempo avevo fatto il militare nei Carabinieri e quindi mi sono iscritto a un’università che fosse un po’ generalista e che mi consentisse anche di andare veloce e così ho fatto, dopodiché è partita la mia carriera professionale che non è iniziata dall’azienda perché io sono stato un po’ un ribelle e quindi non volevo lavorare in famiglia, volevo fare il mio percorso. Ho trascorso quasi otto anni alla Barilla, poi sono passato alla Piaggio e poi sono tornato in famiglia.

Adesso ricopre molti ruoli nel mondo del vino, è impegnativo fare da collettivo per così tanti consorzi? Ci sono aspetti difficili nella gestione di realtà così eterogenee?

È un ruolo molto bello che mette insieme tante realtà diverse, è un ruolo che naturalmente, sembra un paradosso ma non lo è, diventa più facile nei momenti più difficili perché è lì che è più facile convergere, è un ruolo di lobby fondamentalmente perché Avito è un’associazione, non ha portafoglio ed è solo un punto di raccordo dove si uniscono le voci e poi si va a discutere con le istituzioni, il nostro referente principale è la Regione e il secondo il Ministero. Però è un ruolo interessante che oltre a dare visibilità serve veramente a cercare di trovare delle posizioni comuni che in certe situazioni sono molto utili, anzi sono necessarie.

Noi siamo il Paese dei campanili, ricordiamocelo. Posso farle una domanda che ho rivolto ai produttori durante queste anteprime: che ne pensa del binomio intelligenza artificiale e vino? Nel corso delle interviste ci sono stati pareri favorevoli e contrari ed è stato interessante vedere come aziende con dimensioni molto diverse abbiano risposto.

Se dovessi rispondere d’istinto direi che è un po’ inquietante questa penetrazione dell’intelligenza artificiale nelle attività e non solo nelle nostre, però alla fine razionalizzando il mondo va avanti, il progresso non si ferma, bisogna fare in modo che se ne faccia non solo un corretto uso, e qui parlo da un punto di vista etico, bisogna sfruttare l’intelligenza artificiale nel modo migliore. D’altra parte la tecnologia ha comunque fatto un balzo negli ultimi cinquant’anni, impressionante e ne abbiamo tratto beneficio tutti. Se parlassi di pancia direi che sono un po’ inquietato, se lo faccio con la testa dico che si va avanti e quindi ben venga anche l’intelligenza artificiale che è un concetto molto vasto, sia utilizzato nell’ambito tecnico sia nel contesto della promozione perché il digitale è trasversale a qualsiasi cosa si faccia. L’importante è salvaguardare un principio etico, a livello macro.

Come vive la sua azienda questa innovazione?

Stiamo facendo piccoli passi, dall’utilizzo quotidiano di chatGPT che ormai è all’ordine del giorno e poi vediamo, stiamo studiando un’applicazione anche per la produzione.

Ci restituisce una sua opinioni su le recenti inchieste di Report sul mondo del vino?

Diciamo la verità, questo tipo di giornalismo sembra più interessato a ottenere consenso e audience piuttosto che a fornire informazioni valide e approfondite. È come se volessero ottenere un certo risultato senza preoccuparsi realmente dei fatti e delle opinioni esperte. Si costruiscono tesi banali e preconfezionate, con l’uso di testimonial di cui spesso non si comprende neanche la competenza o la professionalità. Si sbaglia nel dare troppa enfasi a queste voci senza un reale valore aggiunto.