Buchette del Vino, a Firenze una mostra ed un libro [VIDEO]

Passeggiando per Firenze è facile distinguere sulle facciate di alcuni palazzi, curiose aperture di piccole dimensioni: le buchette del vino, ancora oggi che ci riportano all’antico passato della città di Firenze.

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Buchette, finestrini, tabernacoli, porticine, finestrine, sportellini, porticciole, porte del paradiso sono solo alcuni dei nomi con i quali sono conosciute in Toscana. Vi racconto qualche curiosità sulle buchette del vino dopo la passeggiata con Matteo Faglia.

Dal 2 al 16 settembre la Sala Brunelleschi del Palagio di Parte Guelfa ospita la mostra Buchette del vino in mostra: per la prima volta vengono esposti reperti di epoche storiche diverse per un’immersione nella storia e nella tradizione di un fenomeno esclusivamente toscano.

Dal 2015 l’Associazione Buchette del Vino censisce, studia, documenta, fa conoscere e salvaguarda il patrimonio costituito dalle buchette del vino. Durante la passeggiata con il presidente dell’associazione, Matteo Faglia, ho avuto modo di conoscere e apprezzare il grande lavoro che l’associazione sta svolgendo per valorizzare una delle testimonianze più originali dell’ingegno fiorentino nei secoli.

Le buchette nascono sulle facciate dei palazzi nobiliari di Firenze, in prossimità della porta principale o sul fianco del palazzo, riproducendo il motivo architettonico e decorativo del portone, ma potevano essere anche intagliate all’interno di un portone, come si può vedere dalla porta esposta nella mostra, proveniente da un locale di via del Castellani. La nobiltà fiorentina nel Cinquecento aveva grandi proprietà terriere nel contado e il Granduca Francesco I favorì la coltivazione di questi terreni per far fronte alla grande crisi economica che aveva imperversato su Firenze e la Toscana dopo la morte di Lorenzo de’ Medici nel 1492, creando forse i primi presupposti per i primi passi della Toscana verso l’eccellenza in ambito vitivinicolo.

Frescobaldi, Antinori, Ginori, Peruzzi, Strozzi accolsero immediatamente la richiesta del Granduca, attratti dall’esenzione delle tasse per la vendita del vino attraverso le buchette nei loro palazzi di famiglia, ma il fenomeno già nel Seicento si estese anche a proprietari di terreni e palazzi non appartenenti alla nobiltà e si è protratto fino al 1908, anno dell’ultima richiesta ufficiale di apertura di una buchetta. A dissociarsi da questa tradizione, a fine Ottocento, è stato Bettino Ricasoli che decise di chiudere le buchette del suo palazzo di via Ricasoli a seguito dell’adozione della bordolese per l’esportazione del vino toscano nel mondo.

Non esiste una buchetta del vino identica ad un’altra, sono tutte diverse, hanno l’apertura ad arco e una dimensione di 20 x 30 cm, anche se alcune possono arrivare a 45 cm. La dimensione era dovuta alla grandezza del fisco che tra Cinquecento e Seicento aveva una capacità di un litro e cento e durante il passaggio attraverso la buchetta doveva rimanere verticale dal momento che il tappo venne inventato soltanto nell’Ottocento.

Il censimento delle buchette è tutt’ora in corso e ognuno di noi può segnalare all’associazione la presenza in un palazzo fiorentino o toscano di una buchetta del vino. L’associazione si occupa di installare una targa in ottone con la dicitura Wine window e di provvedere a vincolarle con la Soprintendenza. Molte fra quelle censite risultano ad oggi ancora tamponate cioè chiuse con un intonaco o da una parete, il che significa che hanno perso l’originaria porticina in legno che le caratterizzava e di conseguenza il batacchio o picchietto utilizzato dal cliente quando si avvicinava col fiasco vuoto per comprare il vino. Il cliente bussava, il cantoniere apriva, prendeva il fiasco (e i soldini!), sciacquava il fiasco, lo riempiva e lo restituiva. Il batacchio era un elemento mobile da togliere la sera per evitare richieste di vino in orari scomodi; erano ammesse solo due eccezioni: i soldati che andavano o tornavano da una missioni e le donne che avevano partorito da poco o che erano incinta perché valeva il detto “il vino fa buon sangue”, come dimostra anche l’affresco del Ghirlandaio conservato nel Duomo di Firenze dove si vedono le ancelle che offrono dei fischi di vino a Maria dopo il parto.

Borgo degli Albizi, Borgo San Frediano, Borgo Pinti, Borgo San Niccolò sono le zone con la maggiore concentrazione di buchette del vino perché erano i quartieri nei quali le persone passavano la mattina per andare a lavoro e la sera, durante il tragitto del ritorno, si fermavano a fare rifornimento di vino prima di rincasare. Le buchette del vino hanno rappresentato per oltre quattro secoli un elemento di quotidianità di tutti i ceti sociali, a partire proprio, come ho ricordato, dalla nobiltà fiorentina che ha sempre avuto un rapporto diretto con il lavoro, con il commercio e con il denaro, caratteristica impensabile per la nobiltà europea che rimaneva sconcertata da questa pratica passando da Firenze per il Gran Tour.

Attenzione però durante le passeggiate per Firenze a non confondere le buchette con gli sportellini che si trovano vicino ai tabernacoli e nei quali il lumaio custodiva l’olio per l’accensione della lampada del tabernacolo e il marchingegno che consentiva di far scendere la lampada!