Angelo Gaja: ridurre produzione per salvare il vino italiano

Il celebre produttore propone una svolta per affrontare sovrapproduzione, cambiamenti climatici e dazi, puntando su qualità e riduzione della burocrazia.

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Il vino italiano affronta un momento complesso, segnato da consumi in calo, sovrapproduzione e ostacoli commerciali. A tracciare una strada chiara è Angelo Gaja, tra i più autorevoli produttori del paese, che indica due parole chiave per il futuro del settore: governo e limite.

In un’intervista al Corriere della Sera con Luciano Ferraro, Gaja sottolinea la necessità di ridurre la produzione, oggi intorno ai 48 milioni di ettolitri, a un livello sostenibile compreso tra 35 e 42 milioni.

“Sarebbe ottimale una produzione annuale tra i 35 ed i 42 milioni di ettolitri. Anche per gli effetti del cambiamento climatico, oltre che del calo dei consumi. Produrre meno, ma meglio. Possiamo farcela”, afferma.

Questo anche per contrastare gli effetti del cambiamento climatico e il calo dei consumi in Europa e Stati Uniti, dove il trend salutista e i dazi imposti dall’amministrazione Trump frenano le esportazioni.

Riguardo ai dazi, Gaja è prudente: “Aspettiamo, la trattativa è in corso. Speriamo in una soglia meno punitiva. Bisogna avere pazienza, fasciarsi la testa prima del tempo non serve”.

Durante il vertice del 4 agosto a Palazzo Chigi, i produttori italiani hanno proposto l’estirpazione di parte dei vigneti, ispirandosi alla Francia, che entro l’anno eliminerà quasi 30 mila ettari. Tra le misure chiave suggerite da Gaja vi sono l’abbassamento del limite di uva per ettaro per i vini da tavola e il divieto di usare uve da tavola per produrli, per ridare dignità a questa categoria.

“Le misure invocate per porre rimedio alla sovrapproduzione sono da sempre le stesse: l’espianto e la distillazione. Misure estreme sulle quali si continua a dibattere. Mi chiedo invece se non siano auspicabili pratiche coerenti con il governo del limite”, spiega.

Gaja invita anche a snellire la burocrazia, elemento che spesso rallenta la competitività delle cantine italiane, oltre a diversificare i mercati guardando verso Asia e Africa, dove la cultura del vino può ancora crescere.

Sul calo dei consumi aggiunge: “Il vino si beve anche per festeggiare, ma in Europa come si può festeggiare, con due guerre vicine? Se arriverà la tregua, lo spirito cambierà subito”.

Pur riconoscendo le difficoltà causate dalla crisi geopolitica e dai cambiamenti nel gusto, il produttore piemontese, dal suo castello di Barbaresco (Cuneo), rimane ottimista:

“Il fattore umano è la nostra forza. In Italia le cantine sono più di 30 mila, almeno 10 mila produttori esportano vino, italianità e poesia… Continueremo a farlo. Con realismo, perché il mondo cambia”.

redazione rossorubino
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